Giuseppe Patota, Prontuario di grammatica. L’italiano dalla A alla Z.
Francesco Torraca, nel 1883, scriveva
che se è vero «che un buon maestro fa la scuola buona, non è men vero
che l’opera del maestro (…) è spesso inceppata, non di rado sprecata,
quando mancano i buoni libri».
I buoni libri, appunto, sono
fondamentali, ma spesso mancano. Uno dei problemi su cui da sempre si
sofferma l’attenzione dei linguisti quando si indaga su italiano e
scuola è proprio quello della manualistica scolastica.
Negli anni, infatti, definizioni
discutibili, esemplificazione fuorviante, scarsa funzionalità, vecchie
regole, distinzioni tradizionali fornite per inerzia, mancanza di
sensibilità sociolinguistica non hanno, spesso, fornito agli studenti
gli strumenti necessari, vòlti a rafforzare determinate competenze.
E i risultati li vediamo ogni giorno. Senza farne drammi, ma la situazione è grammatica.
Gli ultimi dati OCSE non dicono nulla di
buono: la maggior parte dei nostri connazionali non è in grado, di
fronte a un testo scritto, di comprenderlo, trarne informazioni e
utilizzarle poi per i propri obiettivi (solamente per restare sul
problema lingua, ma non è – purtroppo – l’unico): abbastanza deprimente,
ma torniamo a noi.
Restando sostanzialmente d’accordo con
Graziadio Isaia Ascoli, «scrivere correttamente» rimane «una cosa che sa
di miracolo, da perigliarvi la vita», dobbiamo però ammettere che in
fondo basta poco. Basterebbe poco per parlare, scrivere bene, togliersi
dalla testa – e dalla lingua – quei dubbi che ci si porta dietro dai
tempi della scuola (o che si hanno, a scuola).
Sicuramente un po’ di buona volontà e
qualche buon libro, appunto, potrebbero aiutare o a studiare, o a
rinfrescare la memoria. Magari «una app grammaticale su carta che, nel
tempo di un clic, informa sull’italiano in modo rapido, completo e
scientificamente fondato» (così recita la quarta di copertina), o
meglio, un prontuario di grammatica, come quello di Giuseppe Patota: Prontuario di grammatica. L’italiano dalla A alla Z, Laterza, 2013.
Come funziona e com’è fatta questa app grammaticale su carta?
Il prontuario di Giuseppe Patota,
organizzato in ordine alfabetico, presenta circa mille argomenti
relativi a tutti gli aspetti e i livelli della lingua italiana.
Le singole voci (in MAIUSCOLO o in corsivo)
sono autonome. Una freccia verso destra → indica il rinvio a un’altra
voce utile per completare la conoscenza dell’argomento, capire qualcosa
in più, magari inquadrare il singolo dubbio in un contesto più ampio.
Nei casi più incerti (le forme alternative sono indicate in corsivo e
separate da una barretta), dopo i due punti è indicata la forma corretta
o più usata (in grassetto) e sono evidenziate
eventuali differenze tra uso scritto e parlato. Un linguista, in fondo,
sa sempre che c’è un abito adatto per ogni occasione; non dimentica
mai, infatti, di dislocare opportunamente le molte alternative
linguistiche sull’asse della variabile diafasica, riconoscendo la piena
funzionalità di determinate espressioni a seconda delle varie
situazioni. Il giudizio di accettabilità dipende fortemente dal canale
orale o scritto, ad esempio (un caso classico? l’a me mi).
Così, tra i vari argomenti e i dubbi che
Patota chiarisce, con rigore descrittivo e indicazioni pertinenti, c’è
un elenco di parole che suscitano, spesso, perplessità riguardo alla
posizione dell’accento (pp. 4-5): ma si dice persuàdere o persuadére?
zàffiro o zaffìro?
E ancora, un utile schema sulle congiunzioni: coordinanti e subordinanti (pp. 41-43).
Poi la punteggiatura: il punto e
virgola, quando si usa? (pp. 139-140). Stiamo parlando del segno
interpuntivo che sembra destare più preoccupazioni (ah, signora mia!) e
pare aver nemici da molti anni.
«Siamo costretti a rivelare che il punto
e virgola ha dei nemici. In questo mondo non c'è pace per nessuno. E
quei nemici sono feroci a tal segno che vorrebbero morto e sepolto il
povero punto e virgola. Quindi, se ciò accadesse, rimarrebbero
nell'esercizio delle loro funzioni solo il punto, i due punti e la
virgola», scriveva Zama negli anni Trenta del Novecento.
Ma noi non vogliamo vedere morto e
sepolto nessuno, per carità. E neanche farci dei nemici. Allora,
continuando a sfogliare potremmo cercare di risolvere la questione del
femminile dei nomi di professione (p. 66): è giusto dire assessora? il
presidente o la presidente? il vigile, la vigile, o la vigilessa? e la
ministra?
Il problema, invece, è la frase (pp.
69-70)? Troverete una risposta, magari passando per il predicato (pp.
131-132). Per la Protasi (p. 138), invece, vedi Ipotetiche,
proposizioni.
Sfogliando il prontuario, sarà
possibile, insomma, togliersi parecchi dubbi, come accade, sempre, con
libri come quelli di Giuseppe Patota che è autore noto non solo agli
accademici, a studiosi e studenti, ma anche a fasce ben più ampie,
perché studioso, ma soprattutto divulgatore: insieme a Valeria Della
Valle, negli anni, ha dato vita a un periodo roseo nella divulgazione
linguistica, rivolgendosi non solo al pubblico degli addetti al settore
ma, veramente, a tutti.
Un periodo roseo che è andato a
rischiarare, spesso, quella che Luca Serianni ha chiamato “zona grigia”:
la zona della norma linguistica in cui possono sorgere dubbi per
alternative ugualmente ammissibili, e in molti casi addirittura
intercambiabili.
La forma non è tutto, ma il 95%, mi
hanno insegnato, e una forma corretta sicuramente aiuta e facilita,
veicola, nel modo migliore, l’informazione: questa è una grammatica in
forma, senza dubbio. E può aiutare ad alleggerirsi: un po’ di sano
esercizio grammatico non ha mai fatto male a nessuno.
Grammatici, mai drammatici, almeno in
fatto di lingua, visto che non serve a nulla lamentarsi troppo, ma è
sempre bene ricordare che «non può mai darsi una regola tanto vergine
che da qualche eccettione non sia deflorata», in un certo senso, come
scriveva Loreto Mattei.
Tamara Baris
Questa recensione è uscita, il mese scorso, qui: http://www.ornitorinconews.it/index.php/cultura/10-cultura/77-la-situazione-e-grammatica.html